A 65 anni mi ritrovai ad accudire i miei genitori anziani: papà, ormai lento e rigido novantenne, e mamma, seppur più giovane ed in forze, affetta da demenza.
Osservavo le mani di papà che cercavano di accarezzare i capelli di mamma, mentre lei, come una bambina capricciosa, si muoveva per non farsi raggiungere. Papà, paziente, ci riprova anche solo due minuti dopo e mamma, questa volta, per qualche strano scherzo del suo cervello, si lascia toccare. In quel momento il sorriso di papà illuminava tutta la stanza ed io rimanevo abbagliato da tanto amore.
Dov'era tutto questo amore quando da bambino mia madre mi torturava con le sue richieste? "hai fatto i compiti?" "hai lavato i piatti?" "hai di nuovo rotto i pantaloni" "perchè le scarpe sono sporche? non avrai nuovamente giocato a calcio con i tuoi amichetti scemi". Ero sempre sotto tortura, sotto intensa osservazione e giudizio di quella donna che avrebbe dovuto essere mia madre. Già, ancor oggi faccio fatica a chiamarla mamma. Preferisco identificarla come madre. Mamma dovrebbe accogliere e ridere con te, dovrebbe insegnarti la dolcezza e l'amore invece... invece, forse, era già la demenza che la faceva parlare.
Papà non era d'aiuto, mi aveva insegnato a fare tutto quello che mia madre voleva: "i piatti, guarda, si lavano così." Lui le faccende di casa le sapeva fare bene: faceva sempre tutto lui.
Tornava a casa dal lavoro, cenava da solo con sua moglie, perché mia madre faceva cenare prima me e mia sorella, e poi ci ficcava a letto, per stare a parlare, da sola, con lui. Era inutile insistere, sarebbero scoppiati furibondi litigi in cui, mia madre, ci accusava di non aver fatto i compiti, di averla fatta dannare, e papà, pur di non sentirla, ci avrebbe sgridato e mandato a letto. Tanto valeva andarci prima ed ascoltare i racconti di papà dalla buia camera da letto.
Dopo cena lei andava a dormire e papà sistemava tutto. Io allora andavo in cucina, accanto a lui, e lo guardavo lavare i piatti: "i piatti guarda, si lavano così" ed io imparavo, felice di stare accanto a lui, a lui che non mi sgridava, che mi faceva un sorriso ogni volta che riponevo un piatto, a lui che, pur di tenere mamma buona, mi diceva di stare zitto.
Poi l'adolescenza aveva complicato tutto. Me ne ero andato a 21 anni grazie al servizio militare e non ero più tornato. Solo ora, dopo la morte di mia sorella e due matrimoni falliti, ero tornato a casa, ma solo per senso del dovere, solo per accudirli.
"Papà. Perché insisti nell'accarezzarla? Il novanta per cento delle volte lei ti rifiuta"
Papà portò nuovamente la sua mano rugosa verso i capelli di mamma e mi rispose: "insisto per il 10 per cento delle volte che si lascia accarezzare"
Papà aveva scelto lei: sapeva che lei, senza il suo amore, non sarebbe sopravvissuta, mentre io si, io potevo crescere anche senza di loro.
Si sacrifica sempre il più forte.
(ispirato da una storia vera... )